Avevo conosciuto Monsignor Pierluigi Sartorelli nel 1976, primo anno del mio servizio in Segreteria di Stato. Era stato Nunzio Apostolico in Kenya e, per ragioni di salute, era tornato a Roma. Nominato Canonico della Basilica di San Pietro, venne a prestare il suo servizio nella Sezione di Informazione e Documentazione. Ogni giorno passavo nel suo ufficio, per prendere i riassunti che aveva fatto, dalla stampa in lingua inglese.
Un giorno, vidi sulla sua scrivania le planimetrie di due appartamenti: uno nel Palazzo del Sant’Ufficio, dove egli era vissuto fino ad allora; e il secondo nel Palazzo dei Canonici in Vaticano, nel quale si stava trasferendo. Notando l’interesse con il quale guardavo i due documenti, mi spiegò la situazione e mi indicò che cosa avrei potuto fare per chiedere per me l’abitazione che stava abbandonando. Grazie a lui, e alla benevolenza del responsabile dell’amministrazione, Monsignor Giuseppe Bordin, che conoscevo dai tempi in cui era economo in Seminario, ebbi a mia disposizione l’appartamento, nel quale vissi, felicemente, per sette anni.
Nel 1996, nominato Nunzio Apostolico in Kenya, mi trovai ad essere il quarto successore di Monsignor Sartorelli, che alcuni vescovi ricordavano ancora. Pochi mesi prima del mio arrivo a Nairobi, avevo saputo che Monsignor Sartorelli era morto.
Un paio di anni più tardi, fui raggiunto per telefono da uno dei nipoti del defunto. Mi spiegò che lo zio aveva lasciato le sue volontà in una lettera privata, indirizzata a sua sorella, ora morta anch’essa. I suoi due figli volevano eseguire quanto indicato dallo zio, che aveva chiesto che il denaro contenuto nel suo conto in banca fosse consegnato al Nunzio “pro tempore” in Kenya, a beneficio delle missioni.
Tornando a Roma poco dopo, incontrai il nipote e fui informato della consistenza della somma. Monsignor Sartorelli aveva condotto una vita molto parca, evitando spese e mettendo da parte il denaro, che voleva destinato alle missioni africane.
Avuto il denaro, ne avvertii i vescovi del Kenya e stabilii un “fondo Sartorelli”, che utilizzai per completare alcuni progetti che lo stesso Sartorelli aveva promosso. Posi come condizione che il gesto del donatore fosse ricordato con una iscrizione. Non si trattava di glorificare il defunto, ma piuttosto di dare il buon esempio ai viventi, che avrebbero potuto imitarlo nella sua generosità.