Il 27 dicembre 1997 si tennero in Kenya le elezioni generali, per il rinnovo del Parlamento e la nomina di un nuovo Presidente della Repubblica. Ai sensi della nuova Costituzione, votata nel 1992, il Presidente in carica, Daniel arap Moi, anche se al potere dal 1978, poteva concorrere per un secondo mandato. Grazie alla divisione tra i candidati dell’opposizione, fu rieletto con il 40% dei voti, e i risultati della tornata elettorale furono riconosciuti corretti dagli osservatori internazionali e anche dalla Conferenza Episcopale del Kenya.
Il 13 gennaio seguente, insieme a Monsignor Ravasi, vescovo di Marsabit, mi trovavo nel villaggio di Baragoi, nel corso di una visita programmata per studiare la suddivisione in due parti di quella diocesi.
Il parroco di Baragoi, un missionario italiano della Consolata, mi affrontò subito, con un tono benevolmente polemico: “Ma cosa avete fatto, voi vescovi?” Alla mia risposta sorpresa, continuò: “Avete dichiarato che le elezioni erano state giuste e corrette”. “Beh, con questo io non c’entro: la dichiarazione è stata fatta dalla Conferenza Episcopale e io non ne sono parte. Ma mi pare di capire che tutti hanno detto che le cose erano state regolari”.
Mi diede allora la sua versione dei fatti: “Qui a Baragoi ci sono, sì e no, trecento persone, compresi vecchi e bambini, e di queste avranno forse votato la metà. Ma da qui è partita l’urna elettorale con dentro mille schede, tutte in favore del Presidente!”
Rimane solo da chiedersi in quante altre località periferiche si fosse agito nello stesso modo. È strano che nessuno dei vescovi abbia ricevuto informazioni su questo tipo di trucchi. Niente da ridire, invece, sugli osservatori internazionali, che, come sempre, non si erano mossi da Nairobi e, quasi certamente, erano restati nelle loro stanze di albergo, con tanto di aria condizionata, per seguire le operazioni di voto attraverso la televisione.