Quando, all’inizio del1990, mi preparavo per partire per la Bolivia, il Prof. Giovanni Gozzer mi chiese di verificare se il Presidente della Repubblica, Jaime Paz Zamora, fosse parente di Nestor Paz Zamora, che egli aveva conosciuto durante le sue missioni di studio nel continente latino-americano. A suo tempo, lo chiesi proprio al Presidente e seppi che si trattava di suo fratello, che era morto mentre viveva in clandestinità, come guerrigliero. Lo stesso Jaime mi fece avere un ciclostilato, con il testo di un diario che Nestor aveva scritto durante il suo tempo di lotta. Più tardi, ebbi una informazione più completa, che mi sembra utile condividere.
I due fratelli, figli di un alto ufficiale dell’esercito boliviano, erano stati educati con alti ideali di fede e dignità umana. Jaime, dopo gli studi di teologia svolti a Lovanio, in Belgio, era stato ordinato diacono. Nestor, che era entrato nella Congregazione dei Redentoristi, si era poi sposato ed aveva frequentato gli studi universitari di medicina. Ambedue i fratelli vivevano intensamente la sofferenza per il loro paese, tenuto sotto il dominio di dittatori, che si alternavano rapidamente, per i continui colpi di stato. Ma mentre Jaime, dopo aver abbandonato anche lui il cammino verso il sacerdozio, decise di vivere in clandestinità, per animare la resistenza politica, Nestor si unì al movimento di guerriglia.
Nel fare questo, egli non volle imbracciare il fucile, ma portava con sé il libro della Bibbia, che leggeva e commentava per i compagni di lotta. Il suo basco da guerrigliero non era decorato con la stella, ma con la croce. Il suo nome di battaglia era “Francesco” e, nei villaggi dove la sua compagnia si fermava, la gente credeva che fosse un sacerdote, perché faceva catechismo ai bambini, battezzava e portava la parola del Vangelo. Per tutti, quindi, egli era Padre Francesco.
Quando nella regione di Teoponte, a nord-est di La Paz, i soldati del governo stavano ormai raggiungendo il gruppo dei guerriglieri, che dovevano quindi fuggire, Nestor, ammalato, indebolito dalla fame e ormai incapace di camminare, chiese di essere lasciato lì: seduto e appoggiato a un albero, condivise con i compagni una scatoletta di sardine. Poco dopo, l’8 ottobre 1970, morì, il giorno prima di compiere 25 anni.
I contadini del villaggio vicino lo seppellirono subito, per evitare che i soldati ne scoprissero il cadavere e capissero che i guerriglieri erano stati nella zona. Ma della sua sepoltura, per molti anni, si perse ogni ricordo.
Nel 1992, il fratello Jaime, allora Presidente della Repubblica, decise di fare ricerche per ritrovare il corpo di Nestor. Un loro cugino, che apparteneva allo stesso gruppo di guerriglia, seppe indicare, almeno approssimativamente, la zona in cui si erano separati. Un abitante del posto fu di aiuto, perché ricordò che suo padre aveva sempre detto che in quei paraggi era stato sepolto un sacerdote. Cercando attentamente, trovarono la scatoletta di sardine, vuota e arrugginita. Scavando lì attorno, a poca profondità, fu trovato quello che restava del cadavere di Nestor.
Il 18 giugno 1995, quando, accompagnato dai due vescovi di Tarija, mi recai alla residenza del “Picacho”, dove abitava l’ormai ex Presidente Jaime Paz Zamora, visitai, nel giardino, la tomba di Nestor. Mons. Esquivel, allora Coadiutore di Tarija, aveva conosciuto personalmente Nestor e lo considerava un santo. Anche sua moglie Cecilia, che era stata arrestata e torturata a morte nel 1972, era considerata una cristiana esemplare.