In Bolivia le benedizioni, ogni tipo di benedizione, sono una cosa seria. Se, ad esempio, si asperge con l’acqua benedetta, non basta dare, come facciamo qui da noi, una spruzzatina intorno, con l’idea che “la benedizione passa sette muri”. La gente vuole sentirsi bagnare dall’acqua, e chiede quindi che si vada ben bene attorno, spargendo con abbondanza acqua santa su ogni persona. Quelli ai quali talvolta ho detto: “Vai pure, che ti ho già benedetto”, mi hanno risposto: “Non mi hai bagnato!” e non si sono mossi fino a quando non ho fatto bene il mio lavoro.
Riflettendo su questo loro modo di fare, mi sono reso conto che avevano perfettamente ragione. Noi spieghiamo sempre che l’aspersione con l’acqua benedetta ricorda il nostro battesimo. Senza contatto fisico con l’acqua, quale ricordo battesimale sarebbe?
La benedizione doveva essere tangibile anche quando non era data con l’acqua benedetta. Come si sa, la Messa termina con la benedizione, che davo sempre con una certa enfasi, in molte occasioni impartendo anche la benedizione papale – usando per questo speciali facoltà che avevo chiesto alla Santa Sede e ottenuto per me e, in generale, per i Rappresentanti Pontifici. Quando poi passavo in mezzo alla gente per tornare in sagrestia, o uscivo dalla sagrestia dopo aver svestito i paramenti liturgici, tutti restavano fermi, aspettando qualcosa. Quando mi dissero: “Vogliono la benedizione”, chiesi se quella che avevo dato poco prima non era sufficiente, ma la risposta fu che volevano essere toccati. E allora procedevo in mezzo a tutti, imponendo le mani sulla testa, accarezzando, distribuendo croci sulla fronte. E la gente, a sua volta, mi toccava, baciava l’anello e la mano, prendeva la croce e la baciava, o addirittura prendeva un lembo della veste talare e lo baciava. Tutto questo prendeva tempo e creava anche disagio: i baci sulle mani erano talvolta umidi e spesso le labbra delle signore erano tinte con il rossetto, le teste non erano pulite, l’odore della folla poteva essere sgradevole. Ma che sensazione di bellezza e di profonda devozione! Tutto questo mi faceva sentire inadeguato e indegno, ma capivo che quei gesti erano animati da un senso di fede vera e molto più profonda di quanto saremmo tentati di immaginare, con uno sguardo superficiale e un poco anche spocchioso.
Un piccolo episodio grazioso. Il 31 maggio 1990, a Portachuelo, parrocchia nella valle di Montero in diocesi di Santa Cruz della Sierra, il parroco spagnolo – un grande missionario ma, a parere del suo Arcivescovo, un grandissimo testardo – non aveva accettato la programmazione prevista per la mia visita, per cui in ogni sosta doveva esserci un solo atto pubblico: lui ne aveva preparati tre, il primo nel palazzo comunale, il secondo in chiesa e il terzo in un grande locale per la cena. La folla era molto grande e la piazza centrale era piena di gente. I baci delle donne avevano ampiamente tinto di vari toni di rosso le mie mani. Dissi loro: “Guardate: sembra che anche la Madonna – la cui immagine avevo nell’anello – si è messa il rossetto!” Passando dal palazzo del comune alla chiesa, la folla premeva per avvicinarsi a baciare l’anello. Avendo visto che dietro a me c’era una schiera di ragazzini, ogni tanto mi giravo e davo la mano da baciare anche a loro. Verso la fine della lenta traversata, colsi una frase, detta a voce alta da uno di loro: “Io sette volte!” Senza che me ne rendessi conto, alle mie spalle andava avanti una competizione per vedere chi di loro avrebbe baciato più volte l’anello del Nunzio.