Non è cosa da poco arrivare per la prima volta nella sede a cui si è stati destinati come Nunzio Apostolico. Probabilmente è ancora più complicato farlo in una capitale posta ai 4.000 metri di altitudine, con il timore, o almeno la curiosità, di verificare quale effetto possa provocare questa situazione sul fisico di chi arriva.
Il viaggio verso la Bolivia è molto lungo, ma io avevo diviso l’itinerario in due parti, arrivando il 15 febbraio 1990 in Brasile, per fermarmi per qualche giorno nella parrocchia di mio fratello Don Paolo, a Camaçari. Riprendendo il viaggio, il 21 febbraio, feci una sosta a São Paulo e quindi una seconda a Santa Cruz, per cambiare aereo. Qui ho avuto la possibilità di incontrare i primi vescovi del paese: l’Arcivescovo Rodriguez e i suoi Ausiliari Brown e Solari. Già da quell’incontro è scaturito l’invito per una visita all’arcidiocesi, svoltasi di fatto dal 26 maggio al 1° giugno seguenti.
Atterrato a La Paz, avevo sperato di poter arrivare senza nessuna formalità. Mentre scendevo dall’aereo, pensavo solo alla sensazione strana che sentivo, senza capire se fosse questione di emozione o dell’effetto dell’aria rarefatta. Ma, entrando all’aeroporto, vidi subito che c’era un comitato di accoglienza, con la minaccia di qualche discorso da ascoltare e una risposta da dare.
In effetti c’erano il Capo del Protocollo del Governo, il Decano “pro tempore” del Corpo Diplomatico con alcuni ambasciatori, alcuni vescovi, alcune suore con dei bambini per la classica offerta di fiori, e anche qualche laico. Per primo, ovviamente, incontrai il Segretario della Nunziatura, Mons. Antonio Arcari, con il quale avevo condiviso il servizio a Washington. Strette di mano e sorrisi a non finire e poi un discorso, da parte del Presidente della Conferenza Episcopale, Julio Terrazas.
Non ricordo cosa mi disse e neppure ricordo che cosa risposi. Comunque tutto fu semplice e cordiale, ma mi sentii meglio quando potei salire in macchina, per scendere in Nunziatura. La Suora segretaria, Sor Alicia Alvarado, era al mio fianco, e mi sorprese con una domanda: “Ma lei parla portoghese?” Risposi positivamente, ma a mia volta le chiesi perché avesse questa curiosità. Mi spiegò, molto semplicemente, che avevo usato alcune parole che non esistono nella lingua spagnola.
Tra parentesi, la stessa domanda mi fu rivolta più tardi, da un certo Padre Marin, che si occupava di catechesi e di piccole comunità cristiane. Il che fu sufficiente per convincermi che, se volevo parlare bene lo spagnolo, avrei dovuto lasciare da parte il brasiliano, che avevo imparato e usato nelle mie visite a mio fratello.
Arrivando in Nunziatura, trovai ad attendermi il Dott. Asbun, pronto per verificare la mia situazione fisica. Presa la pressione, mi tranquillizzò con una semplice sentenza: “Pressione da seminarista”. E con questo, ero pronto a cominciare il mio lavoro.