Nel 1987, ebbi come ospite a Belgrado Marco, un giovane scout del gruppo Roma 22, nel quale avevo lavorato per anni come assistente ecclesiastico.
Un giorno decisi di andare con lui a Novi Sad, nella regione della Voivodina, per visitare la grande fortezza, trasformata in un museo. Il direttore del museo ne era stato avvertito ed era a nostra disposizione per guidarci nella visita. Mentre ci avvicinavamo all’edificio, stavo dicendo a Marco che avremmo dovuto cercare il direttore, di cui dissi il nome. Un signore, che era in quel momento vicino a noi, si presentò, dicendoci che era lui quello che cercavamo.
La visita fu molto interessante e l’accompagnatore fu estremamente gentile e, ovviamente, molto competente. Mi disse anche che lui, con sua madre, andava ogni domenica a Messa nella chiesa cattolica, perché si sentiva a suo agio con la nostra liturgia, piuttosto che con quella ortodossa. Poi aggiunse: “Però non posso diventare cattolico. Sono serbo e quindi non posso diventare croato”.
L’assurda identificazione tra nazionalità e confessione religiosa, comune in quelle regioni, crea anche delle spiacevoli conseguenze di questo genere.