Uno solo tra i compagni di camerata aveva la macchina fotografica. Gli chiesi di prestarsi per farmi una foto, per la quale mi sarei atteggiato da santo: in posa ieratica, con lo sguardo al cielo e con vicino una corda che doveva fare la parte di un flagello.
Dato che nessuno, a parte il prefetto, poteva entrare nella camera degli altri, portai nel corridoio il comodino e aggiustai la scena. La foto fu fatta e, una volta completato il rullino, fu consegnato ai Vicerettore per lo sviluppo.
Mons. Agostini era anch’egli appassionato fotografo e disponeva di una camera oscura. Credo quindi che fosse lui stesso a sviluppare il rullino e a stampare le fotografie. Ma, anche se il lavoro era stato fatto da un fotografo professionista, lui controllò i risultati e, vista la mia foto, non sembrò particolarmente divertito.
Nel consegnare le foto al compagno che le aveva scattate, mandò questo messaggio: “E chiedi a Tonucci se vuole andare da Don Guanella”.
Il bello è che non avevo ancora conosciuto l’opera di questo santo sacerdote. Quando ne fui informato, capii che mi era stato detto di essere, se non proprio matto, almeno abbastanza strano.