Uno dei grandi desideri di Mons. Heim era quello di rendere possibili le relazioni diplomatiche tra la Gran Bretagna e la Santa Sede. “I regni del Nord aspettano di vedere cosa faranno gli inglesi e seguiranno subito. E poi lo faranno anche gli Stati Uniti”. Lo diceva con convinzione, anche perché aveva mantenuto contatti con i paesi scandinavi, presso i quale aveva svolto la missione di Rappresentante Pontificio per nove anni. Di fatto, fu proprio quello che accadde, ma, ovviamente, nessuno ebbe l’onestà di riconoscere pubblicamente i suoi meriti in questa faccenda.
Tra le iniziative che il Delegato prese, per facilitare i contatti, fu quello di organizzare pranzi e cene nella sede della Rappresentanza, con molta eleganza e con una scelta accurata degli ospiti da invitare. Fortunatamente per me, come ho già detto, in queste adempienze Mons. Heim usava i servizi di un giovane svedese, Dennis Pehrson, da anni stabilito a Londra, che a suo tempo era stato dallo stesso Heim ricevuto nella Chiesa Cattolica.
Uno dei desideri a lungo coltivati divenne realtà: attraverso contatti adeguati, la Regina Madre aveva accettato l’invito e sarebbe stata con noi a pranzo. Con noi, si intende, per modo di dire, perché il Delegato invitò alcune alte personalità della nobiltà londinese e i suoi amici abituali, per queste circostanze: il Colonnello Culverhouse, Madame Ruth de Vool e Dennis.
Il 5 giugno 1975, la Regina venne in una splendida Bentley, accompagnata da una dama di compagnia. Durante il pranzo fu gentilissima con tutti. Avevo chiesto alla dama, che sedeva al mio fianco, se mi era permesso scattare qualche foto, ma senza usare il flash. Appurato che non c’erano obiezioni (“Qui lei è in casa sua!”), feci qualche scatto, con molta discrezione. La Regina sorrise e mi chiese, scherzando, se doveva assumere qualche posa speciale. Mi fece anche un complimento per la qualità del mio inglese. Ne fui orgoglioso, anche se, a dire il vero, avevo detto talmente poco che sarebbe stato difficile giudicarlo.
Durante il pranzo, le suore di casa mi fecero avere un biglietto, nel quale chiedevano se anche loro avrebbero potuto salutare la Regina. La risposta fu subito positiva, e quindi, al termine del tempo trascorso nel salone, per bere il caffe e un digestivo, le quattro suore e le due signore che aiutavano nella gestione della casa incontrarono la Regina. Questa fu attenta e cordiale con tutte, interessandosi sulle loro attività e chiedendo spiegazioni circa alcune ricette dei cibi serviti al pranzo. Anche la Signora Vanjek e la Signorina O’Rouke furono trattate con simpatia, anche se erano imbarazzate per il loro abito: non avendo potuto sapere in anticipo della visita, per ragioni di sicurezza, erano ambedue con il grembiule di lavoro.
Al momento di uscire, per qualche istante fui solo con la Regina, e le chiesi scusa se l’avevo disturbata con la mia macchina fotografica. Mi assicurò che non c’era stato nessun disturbo, e allora le chiesi di posare ancora una volta. Ciò che fece, regalandomi la possibilità di scattare un bellissimo ritratto, del quale sono molto fiero.
Un ultimo dettaglio, che mi ha piacevolmente sorpreso: tra i camerieri di quel giorno c’era un signore, che in passato aveva prestato servizio a Buckingham Palace. All’uscita, la Regina lo salutò e gli chiese come stessero i suoi figli. Poi si volse verso di me e mi disse: “Deve sapere, Monsignore, che Olson – facciamo finta che questo fosse il suo nome – è uno dei nostri cari vecchi amici”. Il cameriere era al massimo della commozione, e io ho ammirato la delicatezza con la quale la Regina aveva sottolineato la sua relazione con lui.
Senza dubbio, Sua Maestà la Regina Elisabetta, la Regina Madre, conosceva bene la sua parte e la recitava benissimo.