Concluso l’impegno con la scuola, dovevo recarmi a Roma per verificare alcune situazioni con l’Università. Il Vescovo aveva ottenuto che mi trattenessi un anno in più a Fano, ma mi fece iscrivere subito alla Facoltà di Diritto Canonico, in modo da poter guadagnare un anno di tempo. Sarei quindi andato a vedere quale tipo di impegno mi aspettava e a capire se, nell’anno trascorso senza mai farmi vedere in Facoltà, ci fossero stati problemi di alcun tipo con i professori.
Dopo il trauma degli scrutini, decisi di voler fare qualcosa di particolare e, con la complicità di un amico, organizzai il viaggio a Roma in Vespa. Lui mi fornì la Vespa, che sembrava piuttosto malandata ma che, in definitiva, era funzionante, e, dato che stava piovendo a dirotto, mi diede anche un grosso impermeabile giallo da marinaio. Il 12 giugno partii dall’episcopio come se dovessi andare a prendere il treno, ma poi andai a prendere la Vespa e, avvolto nell’impermeabile e con il casco in testa, partii nella strada per Roma.
Il viaggio d’andato fu drammatico. Non smise mai di piovere e, anche per questo, non potei forzare la velocità, che del resto la Vespa non sembrava disposta a concedere. Passando nella galleria sotto Spoleto, mi resi conto che il faro non funzionava. Cercando di procedere al buio, inciampai contro il marciapiede laterale e caddi, ma poi riuscii ad andare avanti, un po’ per volta, usando il cono di luce delle auto che andavano nella mia direzione. Al primo distributore, comperai una lampadina e potei continuare, dato che ormai era caduta la sera.
Entrando in autostrada, il casellante mi chiese quale fosse la cilindrata della Vespa, al che non seppi rispondere. “Se la fermano, dica che è una 150”, ma lo disse facendomi capire che non ne era gran che convinto.
Arrivai a Roma, a casa di mio fratello, verso la mezzanotte. Chiamai al citofono e gli chiesi di scendere. La sua reazione fu lapidaria: “Tu sei matto”. Il fatto è che lui sapeva che dovevo arrivare con il treno molto prima, e, non vedendomi arrivare, aveva chiamato a Fano, ai nostri genitori, per avere notizie. Loro chiamarono il Vescovo, che poté solo confermare che era andato alla stazione, come previsto. Quindi la mia strana impresa, che avevo tenuto segreta, fu svelata, creando non poco scalpore.
Dieci giorni dopo, sistemate le cose a Roma, tornai a Fano e, questa volta, il viaggio in Vespa fu piacevolissimo: nessuna fretta, sole splendente e natura in piena fioritura. Restituii all’amico il mezzo e l’impermeabile, e tornai a comportarmi da persona seria.
Una cosa dovetti comunque farmi chiarire: avevo notato che la Vespa non aveva il bollo, e avevo anche trovato una vecchia targa nel bauletto. L’amico mi spiegò che quel mezzo era in realtà il risultato della composizione di due vecchie Vespe, che erano state usate per farne una, certamente non nuova ma più o meno funzionante. Il che spiegava la presenza della seconda targa. Il bollo non c’era perché il mezzo non era mai stato collaudato: se la polizia mi avesse fermato, non me la sarei cavata neppure regalando loro la Vespa.
Fortunatamente, nessuno si accorse di nulla.