Il parroco di Roncosambaccio invitò il Vescovo per la celebrazione del santo patrono. Credo che fosse l’11 gennaio 1968. Monsignor Micci, che si preparava sempre con molta attenzione per ogni omelia che doveva pronunciare, aveva con sé uno dei suoi soliti cartoncini, con gli appunti per la festa del giorno: Santa Anastasia, vergine e martire.
Arrivati in chiesa, trovammo che i paramenti erano pronti sull’altare, come si faceva fino ad allora, quando la riforma liturgica non era stata ancora completata. E mentre il Vescovo aggiustava l’amitto attorno al collo, guardò in alto, al grande quadro sopra l’altare. “Ma chi è questo monaco barbuto?” Riconobbi di non saperlo, ma lui insistette e mi chiese di cercare informazioni presso il parroco.
“È il patrono, Sant’Anastasio abate”. “Ma allora non è Santa Anastasia?” “No, no, è Sant’Anastasio abate”. Tornai dal Vescovo: “Eccellenza, contrordine: non la santa ma il santo abate!”
Al momento dell’omelia, fui l’unico a rendermi conto degli sforzi che il Vescovo stava facendo, per utilizzare i suoi appunti, adattandoli alle diverse circostanze. Lo sentii parlare di un martirio quotidiano, vissuto giorno per giorno nella donazione religiosa… Ma nessun altro poté capire quello che stava accadendo e, come sempre, Monsignor Micci seppe lasciare il segno con una omelia appropriata, anche se aggiustata all’ultimo momento.