Quando, nel mese di ottobre del 1960 entrai al Seminario Romano, la prima cosa che mi impressionò positivamente fu la celebrazione della Messa solenne ogni domenica: il canto gregoriano, i movimenti ben eseguiti, il servizio impeccabile, furono tutte cose che mi commossero fino alle lacrime. E dato che avevo subito visto che chi guidava il tutto erano i tre cerimonieri, pensai che avrei desiderato diventare cerimoniere anch’io.
Non ci volle molto a capire che desiderarlo era facile, ma diventarlo era ben più difficile. La scelta la faceva il Rettore, e non serviva molto manifestare particolari aspirazioni. Forse sarebbe servito solo per chiudere la strada del tutto, al fine di non alimentare sentimenti di vanità.
Verso la fine del secondo anno di filosofia, le mie aspirazioni di carriera liturgica erano già messe da parte. Per cui fui molto contento quando mio fratello Paolo, che doveva essere ordinato il 29 giugno 1962, mi disse che voleva che fossi io a dirigere la cerimonia. Con grande indiscrezione gli scrissi una lettera per ringraziarlo, aggiungendo che ormai avevo capito che per diventare cerimoniere in seminario avrei dovuto “lisciare e leccare i superiori, sia generali sia particolari”. La corrispondenza doveva essere allora consegnata aperta, e la mia lettera fu letta. Il Vicerettore me la riconsegnò, chiedendomi di correggerla, per non dare ad altri impressioni negative circa quello che accadeva in seminario. Presentai scuse pietose, probabilmente più vergognose della colpa stessa. E la lettera partì poi debitamente corretta.
All’inizio del primo anno di teologia fui chiamato dal Rettore, che mi disse subito che voleva che io facessi il cerimoniere, cominciando dal ruolo iniziale, e cioè del terzo, che era quello che dirigeva i movimenti dell’assemblea. Tanto per facilitare la mia reazione, aggiunse che forse adesso qualcuno avrebbe detto che per questo avevo dovuto “lisciare e leccare i superiori”. Ci sono momenti in cui uno vorrebbe scomparire ed essere altrove. Per me questo fu uno di quei momenti.
Ma la cosa andò avanti e funzionò. Divenni cerimoniere e svolsi il mio ruolo in maniera sostanzialmente decente. I due compagni più anziani e competenti mi aiutarono, con tanta pazienza. Alla fine, come primo cerimoniere, ebbi la soddisfazione di dirigere l’ordinazione presbiterale di quello che mi aveva immediatamente preceduto.
C’era però un problema che mi ha perseguitato per tutto il mio itinerario: quando qualcosa andava in modo sbagliato, arrossivo terribilmente. In breve, i miei compagni se ne accorsero, e me lo dissero. Per cui, quando arrossivo, sapevo di essere guardato e quindi arrossivo ancora di più. Se avevo cominciato con un sentimento di vanità, mi trovai in una situazione in cui le umiliazioni si moltiplicarono. Potrei almeno sperare che mi abbiano fatto bene.