Francesco Di Lernia, Organo
Antonio Carretta, Tromba
Loreto, 18 agosto 2009
Queste splendide esecuzioni del Te Deum di Charpentier e della Suite in re maggiore di Händel ci hanno introdotto nel modo migliore nel concerto di questa sera. Sarebbe molto semplice, da parte mia, commentare ora questi pezzi, e quelli che seguiranno, notando che la ricchezza del suono dell’organo e il timbro squillante della tromba sembrano concorrere al canto di lode e di ringraziamento a Dio. Rischierei, con questo, di essere banale, perché questa considerazione la facciamo tutti, in maniera immediata e spontanea.
Più volte, nelle riflessioni che abbiamo fatto insieme, durante questi concerti, abbiamo ripetuto l’idea che ogni opera d’arte, in quanto manifestazione della capacità creativa dell’uomo, porta a noi una partecipazione della bellezza di Dio e quindi è, in sé stessa, un’espressione di culto, nel senso più vero e più giusto: un omaggio che noi facciamo a Dio, riconoscendo la grandezza dei doni che egli ha messo a nostra disposizione. Quando ripetiamo, con Sant’Ireneo, che la gloria di Dio è l’uomo vivente, intendiamo parlare dell’uomo in tutte le sue qualità: intellettuali, affettive e creative. E quindi anche artistiche.
Anche oggi, nel programma che ci viene offerto, un buon numero dei brani che saranno eseguiti hanno un tema religioso, e si riferiscono a Dio, al messaggio evangelico e alla vita dei cristiani. Nella cultura europea questo è del tutto normale e abituale. Ma vale la pena di riflettere un po’ sulle ragioni di questo fenomeno.
Pensate alle nostre città. I due edifici più maestosi e più belli di ogni centro abitato sono sempre la chiesa, nelle città principali la cattedrale, e il palazzo civico. Ambedue hanno una loro eleganza specifica, e molto spesso la torre civica entra in competizione di altezza con il campanile. Ma a nessuno sarebbe mai venuto in mente di scambiare la sede del vescovo con quella del signore feudale o del consiglio del popolo. Pensate alla cattedrale di Siena – è una cattedrale e basta! – e al palazzo civico in Piazza del Campo, con la sua splendida Torre del Mangia – è un palazzo e basta! In qualche modo, magari più modesto ma pur sempre efficace, possiamo ricordare, qui a Loreto, il campanile della basilica, del Vanvitelli, e la torre civica, che indica il luogo in cui simbolicamente risiedono i detentori delle responsabilità amministrative della città.
C’è stata un’epoca, anche qui in Italia, in cui si è voluto confondere questa distinzione chiara, ed è stato, tanto per fare un esempio, quando si è cercato di togliere alla città di Roma il suo aspetto che, si diceva, era esageratamente clericale. In questo progetto, le cui tracce sono visibile anche oggi, si sono ideati edifici che volevano essere nuovi altari dedicati ad una nuova religione, nuove cattedrali per una fede più autentica e duratura. Due esempi che conosciamo tutti, per la loro straordinaria bruttezza, sono il Palazzo di Giustizia, quello che i romani chiamano il “Palazzaccio”, che avrebbe dovuto essere la nuova basilica alla dèa Giustizia, costruito proprio lì, per fare concorrenza alla Basilica di San Pietro, vista come il monumento eretto a un Dio ormai passato di moda. L’altro esempio è l’Altare della Patria, che, anche nel nome, propone un culto diverso da quello cristiano e che, con il “Palazzaccio”, ha in comune la mole sproporzionata e il cattivo gusto. Non per nulla i romani l’hanno chiamato “la torta di Matrimonio” o “la Macchina da scrivere”. Ci sarebbe anche un altro nome, ma non sarebbe adatto al luogo in cui ci troviamo.
Analogamente, in alcune capitali europee – penso in particolare a Londra – ci sono edifici dello stesso periodo, nel pesante stile detto “Vittoriano”, dalla Regina di allora, Vittoria appunto, che visti da fuori hanno tutto l’aspetto di cattedrali, ma sono invece musei, teatri o addirittura stazioni ferroviarie.
Perché parlo di questi, che sono dei fenomeni aberranti? Per indicare che ogni cosa deve avere un proprio stile, senza cercare di scimmiottare un altro, specialmente quando il tentativo è fatto per far dimenticare un aspetto, che ha invece la sua importanza indipendente. Vale la pena di aggiungere che, come sono ridicole le stazioni ferroviarie che sembrano chiese, altrettanto lo sono certe chiese che sembrano piuttosto delle stazioni ferroviarie. Sarebbe tanto meglio che le nostre chiese fossero sempre riconoscibili come tali, anche da fuori e anche da lontano.
Ma torniamo a noi: i musei di tutto il mondo, specialmente se hanno raccolte di arte europea, mostrano tanti quadri e sculture di soggetto religioso e, specificamente, di soggetto cristiano e, tra questi, soprattutto di ispirazione cattolica. Questo accade perché il cristianesimo è una religione incarnata, che prende il suo inizio dal fatto dell’incarnazione del Figlio di Dio, che ha avuto luogo proprio tra le tre pareti della Santa Casa che ho alle mie spalle. Quello che il cristianesimo propone non è una elencazione di verità filosofiche e teologiche e di leggi astratte: abbiamo davanti a noi delle persone concrete, che ascoltiamo, che possiamo accogliere nella nostra vita e che possiamo amare. Non si può amare un principio, e neppure una norma: si ama una persona. E la persona può essere rappresentata, con il suo aspetto esterno e con le sue emozioni, nei diversi episodi della sua vita, che portano già in sé un insegnamento, che tutti possiamo capire. Per questo, la nostra fede è sensibile alla corporeità, alla bellezza, all’armonia, al buon gusto. In un tempo in cui pochi sapevano leggere, e anche chi sapeva leggere non avrebbe comunque potuto leggere direttamente la Bibbia, rara e difficile da possedere, la presentazione della “Bibbia dei poveri”, una serie cioè di immagini che raccontavano visivamente gli episodi del Nuovo Testamento ed anche dell’Antico, ci spiega proprio l’efficacia dell’arte come veicolo di trasmissione di un messaggio.
Credo che l’estrema popolarità dei soggetti religiosi cristiani nell’arte dipenda da una parte dall’interesse di chi ordina le opere e di chi poi le deve godere; ma anche dall’interesse degli artisti, che trovano nell’epopea dell’Antico Testamento e nelle storie del Vangelo una fonte inesauribile di episodi, di personaggi, di situazioni serene o drammatiche, che meritano di essere rappresentate e che prestano all’artista tante occasioni per interpretare emozioni, sentimenti e volontà, sofferenza e gioia, umiliazione e gloria. Esse sono per ogni artista una sfida da affrontare, per misurare le proprie capacità di comunicazione di un messaggio. Ne possono essere esempio i diversi cicli, pittorici e scultorei, presenti in questa basilica, alcuni dei quali offrono interpretazioni degli stessi temi, con sensibilità diversa a seconda dei talenti personali, del gusto dell’epoca e anche della riflessione teologica che li ha preparati; ma tutti sono gradevoli, interessanti e molto istruttivi.
Lo stesso potrebbe essere detto a proposito della musica e del suo riferimento alla fede, che è evocata, descritta, celebrata ed anche raccontata. Il modo di descrivere è diverso: non ci sono forme e colori, ma suoni, essi stessi però con i loro ritmi, i loro timbri, le loro coloriture. Nell’arte figurativa, ci sono opere adatte per la chiesa, perché rispondono a certi canoni iconografici che ne permettono l’uso in ambiente liturgico, ed altre che si contemplano preferibilmente in un contesto diverso. Così pure nella musica, ci sono composizioni del tutto adeguate per i diversi momenti liturgici, con le loro esigenze molto precise, che esaltano l’espressività del rito e ci aiutano a partecipare alle varie fasi della celebrazione; altre sono piuttosto adatte al godimento estetico in momenti di riflessione e di meditazione, e ci aiutano a percepire qualcosa della bellezza del mistero.
In ogni caso, nella tanta bella musica ispirata da testi biblici e da momenti della storia della salvezza, riusciamo ad apprezzare la concretezza umana della nostra adesione di fede, che trova nell’Incarnazione di Cristo l’origine per tante manifestazioni di arte e di bellezza, per la gloria di Dio e la gioia di tutti noi. Tertulliano, uno dei più antichi scrittori ecclesiastici vissuto tra il 2° e 3° secolo, ha lasciato la sua lapidaria affermazione, che è talmente famosa che qui a Loreto la conoscono tutti: “Caro salutis est cardo – la carne è il cardine della salvezza”. Si riferisce, ovviamente, al Verbo di Dio che ha preso carne nel seno di Maria. Senza forzare in nulla il significato della frase, potremmo aggiungere: nella carne che salva è compresa l’arte, è compresa la musica, è compresa la creatività per la quale l’uomo e la donna, ogni persona umana, sono stati fatti a immagine di Dio.
Buon ascolto, quindi, a voi tutti, e grazie.