24 marzo 2016
Cari Fratelli e sorelle, cari amici,
Secondo l’indicazione della liturgia, questa celebrazione “deve essere la manifestazione della comunione dei presbiteri con il loro Vescovo”. La vostra presenza qui, cari sacerdoti, attorno all’altare maggiore della nostra Cattedrale, dimostra con evidenza questo punto. Ora sta a me manifestare l’altro aspetto della situazione: e cioè la comunione del Vescovo con i presbiteri, che sono al servizio della nostra Prelatura.
La risposta ci è offerta già da quello che siamo ora chiamati a compiere insieme: la consacrazione degli oli, che saranno usati per le celebrazioni sacramentali durante questo anno.
Il Santo Crisma è usato subito dopo la celebrazione del battesimo e poi nell’amministrazione del sacramento della Confermazione. I ragazzi che saranno cresimati quest’anno sono qui, come testimoni di quanto stiamo facendo. Il Crisma è usato anche per ungere le mani dei nuovi sacerdoti e per ungere la fronte dei nuovi vescovi. Avremo la grazia di usare il Crisma per questo scopo, durante quest’anno? Per il momento, dovrei prevedere di no, ma possiamo sempre sperare in qualche sorpresa che la Provvidenza potrebbe avere in riserbo per noi.
L’Olio dei Catecumeni introduce nella famiglia della Chiesa coloro che nascono alla fede, siano essi bambini nati da poco o siano adulti toccati dalla grazia del Signore.
L’Olio degli Infermi ci parla della nostra fragilità umana, dell’esperienza così universale della malattia e della debolezza. Esperienza universale, certamente, ma pur sempre così difficile da accettare e sempre qualcosa di lontano dai nostri desideri.
Gli Oli descrivono il nostro ministero e indicano il modo in cui i presbiteri e il Vescovo agiscono insieme per costruire il Regno di Dio. I preti sono sempre in prima linea nel lavoro pastorale, per testimoniare e offrire a tutti il dono della misericordia di Dio. In realtà, anche se ci sono azioni sacramentali riservate al Vescovo, le stesse diventano possibili solo attraverso il lavoro dei presbiteri: attraverso la catechesi costante, la formazione impartita negli incontri spirituali, la prassi sacramentale offerta con regolarità nelle parrocchie.
Un Vescovo senza il suo clero non potrebbe fare nulla. Per questo la prima missione di un Vescovo è quella di essere vicino ai suoi preti, di pregare per loro, di incoraggiarli nei tanti momenti difficili, di difenderli quando qualcuno, con superficialità o con cattiveria, si permette di spargere calunnie. Dovrei anch’io fare il mio esame di coscienza e confessare che avrei dovuto essere più vicino ai miei sacerdoti, più pronto a incontrarli e, forse, a cercarli. Vediamo un po’ se, in quello che mi rimane di ministero in questa Prelatura, sarò capace di convertirmi e di cambiare.
Ora dobbiamo rinnovare, di fronte ai nostri fedeli, le promesse sacerdotali. È un gesto che, nel Giovedì Santo, abbiamo compiuto ogni anno. Cerchiamo di compierlo oggi come se fosse fatto per la prima volta, con la stessa forza di convinzione e la stessa freschezza di intenzioni dei primi giorni della nostra ordinazione. Gli entusiasmi di allora sono forse lontani, ma la coscienza e la concretezza sono certamente maggiori oggi, quando sappiamo meglio cosa significa quello che la Chiesa ci chiede di fare.
Promettiamo un impegno ben preciso di servizio ai nostri fratelli e alle nostre sorelle, attraverso l’annuncio della Parola di Dio e il dono dell’Eucaristia e degli altri sacramenti. Ma soprattutto rinnoviamo il desiderio di santità, manifestato in una vita di fede, di preghiera e di donazione a Dio e al mondo nella scelta gioiosa del nostro celibato. In esso, diamo testimonianza convincente, più di ogni altra, di quella parola di Gesù, che ci ricorda: “Nulla è impossibile a Dio”.
Guardando ai nostri fedeli, per i quali noi siamo ministri, sentiamoci impegnati a non deludere la loro attesa: tutti loro ci vogliono sacerdoti buoni, saggi, santi, competenti, pazienti, tolleranti, allegri, pronti ad ascoltare, pronti a rispondere, pronti a risolvere. Ma poi devono anche loro capire che non siamo altro che poveri uomini, con i nostri liti ben evidenti, i nostri difetti, le nostre stanchezze.
Ma almeno in una cosa non dovremmo mai deluderli: viviamo ed agiamo in maniera che per tutti e sempre ciascuno di noi meriti di essere chiamato con il titolo, forse troppo impegnativo ma tanto bello, di padre. Che io possa essere un padre vero, pronto all’ascolto e segno di misericordia. È la sfida del Giubileo: che ognuno di noi sappia essere misericordioso come il Padre.