Loreto, 8 settembre 2013
La comunità cristiana di Loreto celebra oggi la sua festa patronale che, come è ovvio, è una festa mariana. Non potrebbe essere altrimenti per una città che è nata attorno alla reliquia della Santa Casa di Nazaret, resa presente qui dalla Provvidenza Divina. Una città quindi che vive perché c’è il Santuario, una città che tutti nel mondo conoscono, almeno di nome, per il vincolo speciale che la lega a Maria Santissima.
Quest’anno, la nostra festa coincide con la domenica, il giorno del Signore, nel quale celebriamo la morte e risurrezione di Cristo, nato da Maria Vergine. Il mistero dell’incarnazione, avvenuto tra le pareti della Santa Casa, è celebrato ogni volta che si offre l’Eucaristia, e ogni volta è come se Maria offrisse ancora al mondo suo Figlio, nato come uomo perché lei ha saputo accogliere la volontà divina.
La pagina del vangelo di Matteo, che abbiamo ascoltato, si riferisce alla nascita di Gesù e ci presenta questa lunga linea di nomi, intercalati con il verbo: “generò”. Il cammino secolare dell’umanità è segnato dalle generazioni, attraverso la facoltà più alta che Dio ha dato all’umanità, quella cioè di dare la vita a nuovi esseri umani.
Ad un certo punto della storia però, ed è un punto che tutti conosciamo bene, Dio ha preso in mano il cammino dell’umanità e vi ha dato una svolta radicale. Ce ne rendiamo conto quando la serie di “generò” si interrompe, l’espressione cambia e ci troviamo di fronte a una realtà completamente diversa. Abbiamo ascoltato: “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo”. Lo stacco è evidente ed è significativo: non più una nascita che avviene secondo le norme della carne e del sangue, ma per un intervento di Dio. Un intervento che ora agisce per la nascita terrena del Figlio di Dio, ma un intervento che prelude al modo in cui tutti noi saremmo nati alla vita divina, attraverso il battesimo: “Non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”.
In questa pagina di Matteo, risalta la figura di Giuseppe, tanto che molti commentatori delle Scritture parlano di una “annunciazione a Giuseppe”, come completamento dell’annunciazione a Maria, che leggiamo nel Vangelo di Luca. L’evangelista ci descrive lo sgomento di quest’uomo – notate bene: non il disgusto per un tradimento subito, ma lo sgomento, il timore riverenziale di fronte a qualcosa di misterioso e di grande, per cui egli si sente inadeguato. Giuseppe, uomo giusto, pensa che sia suo dovere ritirarsi e rimandare Maria in segreto, e non esporla alla condanna, come sarebbe stato necessario secondo la legge di Mosè, se egli avesse pensato a una situazione di indegnità.
Uomo giusto: un lavoratore, che dobbiamo pensare con le mani callose e l’abilità di chi sa fare bene il proprio mestiere – allora la competenza era necessaria per poter campare. Uomo giusto, che passa le giornate nella sua bottega di artigiano, e si dà da fare per guadagnare il necessario per mantenere la famiglia. Uomo giusto, e il vangelo ricorda questa caratteristica di giustizia proprio quando indica la sua disponibilità a tirarsi indietro, per lasciare che il piano di Dio, per il bene dell’umanità, potesse procedere senza di lui. Uomo giusto, nel capire che anche lui aveva un posto fondamentale in quel piano, e che Dio voleva la sua partecipazione, umile, subalterna ma necessaria per garantire la dignità della nascita del Figlio di Dio, diventato uomo per “salvare il suo popolo dai suoi peccati”.
È bello incontrare due persone oneste, degne e sante, come Maria e Giuseppe. È bello riconoscere in loro la dignità di chi sa accettare una responsabilità e portarla fino in fondo, anche se a costo di grandi sacrifici, umiliazioni e dolori. Giuseppe ha dedicato la vita intera a proteggere i suoi cari, più santi e più importanti di lui, e non ha avuto la gioia di vedere, in vita, i risultati della missione del Figlio e l’inizio di quella salvezza che gli era stata annunciata. Maria ha invece potuto accompagnare la Chiesa nascente nei suoi primi passi, ma, per giungere a questo, ha dovuto vivere l’esperienza devastante del Calvario.
Persone oneste, degne e sante: così la festa di oggi ci invita a essere, prendendo l’esempio dalla santa Famiglia. E l’invito è esteso a tutti noi, figli e figlie di Loreto, qualunque ne sia la professione, l’impegno, l’età e la condizione di vita. Ma è anche esteso ai tanti che, qui presenti per onorare la Vergine Santa, ricoprono ruoli istituzionali prestigiosi e, proprio per questo, portatori di gravi responsabilità.
Sarebbe facile approfittare di questa circostanza per raccomandare a queste persone in responsabilità di fare bene il loro dovere, di essere oneste, degne e sante, di fare del loro meglio per restituire al nostro Paese una dignità che sembra aver perso, una credibilità che sembra scomparire. Facile ma ingiusto, perché un invito del genere lo dobbiamo rivolgere a ciascuno di noi, perché tutti noi siamo responsabili della cosa pubblica, e tutti noi abbiamo la responsabilità di dire un “basta” a quello che accade, e di dirlo a voce alta. Scaricare solo su alcuni questo impegno non farebbe altro che renderci colpevoli di quei peccati di omissione, dei quali ci confessiamo sempre all’inizio della Messa, senza mai pensare a cosa vuol dire l’espressione.
Prendiamo l’esempio da Maria e Giuseppe, dalla loro dignità, dalla loro onestà, dalla loro santità, espressa nell’accettare la missione che Dio aveva loro destinata, senza paura, senza tirarsi indietro, ma coscienti che dalla loro disponibilità alla parola del Signore sarebbe derivata la nostra salvezza.
La costruzione di un mondo nuovo è iniziata grazie alla cooperazione di queste due creature con il progetto di amore di Dio. La costruzione di un mondo migliore dipende ora dalla nostra buona volontà, dalla nostra capacità di essere critici e costruttivi, di essere onesti e di esigere onestà.
Nessuno di noi può aspirare alla santità unica della Vergine Maria, la Madre del Signore. Ma tutti possiamo prendere l’esempio di Giuseppe, uomo giusto, così che ciascuno di noi possa essere ricordato come persona giusta che ha lasciato un’impronta di giustizia là dove la Provvidenza l’ha posta a svolgere il suo servizio.